E se cadesse?

La caduta è una delle grandi minacce che pesano sui nostri malati e un’angoscia per i familiari. I pericoli sono tanti, soprattutto perché il malato non è sempre in grado di controllare i propri gesti e, via via che si deteriorano le sue funzioni mentali, diminuisce la coordinazione dei suoi movimenti e l’equilibrio, aumentando le situazioni di rischio.
Alcuni di noi vivono dunque con questa minaccia e questa angoscia crescente: il minimo rumore fuori dall’ordinario getta nel panico, siamo sempre nell’attesa di sentire il rumore sordo di un corpo che cade e passiamo le notti in allarme.

Così com’è impossibile prevedere la caduta, è anche difficile prevenirla.

All’inizio della malattia, quando vivevamo soli, mio marito ed io, non mi ero ancora attrezzata per un’eventuale caduta dal letto, Quando ciò avveniva, mi limitavo a mettergli un cuscino sotto la testa e un coperta addosso, aspettando la mattina per chiamare i miei vicini. La giovane coppia si prestava con molto comprensione e disponibilità. Ma rimaneva l’angoscia. E se fossero già andati al lavoro? E se ad un certo punto si fossero stancati di queste incessanti richieste? Che cosa avrei fatto?.
Il risultato è stato l’inseguimento perpetuo del malato, la chiusura a chiave della cucina e del bagno, i due ambienti dove si trovano gli ostacoli a mio parere più pericolosi. Per me erano giornate spossanti, cauterizzate dall’impotenza e da una paura costante.

Quando mi sono decisa ad assumere un badante, le cose naturalmente sono migliorate, perché potevo contare sull’aiuto di un ragazzo giovane e forte.

Ma rimanevano le giornate festive, durante le quali la responsabilità della sorveglianza ricadeva interamente su di me. Tenevo, per esempio, mio marito nel suo letto (con le sponde) il più a lungo possibile. Per lui si trattava solo di una temporanea costrizione senza particolari disagi (portava i pannoloni), alla quale metteva fine l’arrivo eventuale di un sostituto.
Ma non sempre era così. Una domenica in cui era stato impossibile trovare un aiuto, Francesco ha fatto un’altra delle sue rumorose cadute, e mentre mi assicuravo che non si fosse fatto male, ma nella totale incapacità de sollevarlo, il campanello del mio appartamento ha suonato. Si sono presentate due giovani donne, socie della Chiesa Avventista del

Settimo Giorno, che aveva sede nel nostro quartiere. Le ho accolto calorosamente e, promettendo di leggere le loro brochure divulgative, le ho pregate di aiutarmi ad alzare Francesco. Da quel giorno sono diventate regolari visitatrici di casa nostra la domenica, io sfruttando la loro disponibilità e loro sperando di fare di me un’adepta.
Ma, naturalmente, questa situazione non poteva durare a lungo e le cadute non coincidevano sempre con la visita delle due giovani! Mi è stato consigliato allora di sbarazzarmi di alcuni mobili, che rappresentavano ostacoli pericolosi sul percorso delle peregrinazioni ossessive di mio marito attraverso la casa; mi è stato suggerito di foderare di gomma piuma gli angoli più spigolosi, fonti sicure di ferimento in caso di caduta. Il mio fornitore d’articoli sanitari insisteva per farmi comprare o affittare un sollevatore elettrico munito d’imbracatura per risolvere i problemi dei giorni festivi.

Avevo già sacrificato la sala da pranzo per ospitare il badante, la camera da letto era invasa da un ingombrante letto da ospedale, una sedia a rotelle bloccava spesso l’ingresso degli ambienti … e adesso avrei dovuto installare una “grù” nel già ridotto soggiorno?

Non ho fatto niente di tutto questo. Francesco, con la sua istintiva conoscenza della posizione dei mobili di casa, ha saputo evitarli e si è raramente ferito. Sembrava avere delle antenne che gli permettevano di valutare con sorprendente precisione gli spazi percorribili senza pericolo.

Col senno di poi, consiglierei dunque di essere un po’ fatalisti, attenti e cauti, sì, ma di non fare della caduta un’ossessione nuova, né di diventare preda di altre angosce da aggiungere al carico già pesante di quelle esistenti ed inevitabili.

Federica Caracciolo