L’Alzheimer e la sofferenza

La persona affetta da demenza è portatrice di una grande complessità di disagi psico-fisici. Il malato spesso soffre di patologie che hanno preceduto l’insorgere della malattia e per le quali le cure non devono essere interrotte. Ma il vero problema per il caregiver sono le nuove patologie che a volte compaiono quando il malato non è più in grado di descriverle. Può trattarsi di una semplice cefalea per la quale il paziente, quando gli si chiede dove ha male, invece di indicare la testa mostra l’addome o la spalla. Può trattarsi di stitichezza, disturbo che si manifesta con agitazione e incapacità di rimanere seduti, ma che il malato non mette in relazione con il suo bisogno di evacuare.

In certi casi, soprattutto in chi usa spesso la sedia a rotelle, il dolore proviene dalla lombaggine e provoca il rifiuta ad alzarsi ed il resistere all’invito di uscire per la passeggiata mattutina, che normalmente il malato compie volentieri. Infine, se interviene un’influenza con febbre alta, allora la confusione mentale ed il disorientamento si intensificano e rendono molto più difficile il controllo e la gestione del paziente, spesso preda di allucinazioni.
Tutti questi sintomi di uno stato fisico disturbato provocano diversi tipi di sofferenza, che il caregiver dovrà saper riconoscere per poter offrire sollievo e conforto al malato incapace di esprimere i propri disagi. Occorrerà allora un attento esame e molta esperienza per individuare l’organo affetto da patologia e la causa della sofferenza. Per questo s’impongono una sorveglianza costante al fine di captare eventuali cambiamenti di umore, una profonda intuizione per interpretare ciò che il malato non riesce ad esprimere, e la capacità di osservare se il comportamento è diverso del solito e se sia il caso di far intervenire un medico.
Molte delle sofferenza fisiche, con il loro bagaglio di dolore, che spesso superano la capacità di tolleranza del malato, possono essere ridotte o addirittura eliminate con terapie farmacologiche.

Ma che dire, d’altro canto, delle sofferenze psichiche ben più insidiose, che minano la resistenza del malato e spesso sono altrettanto gravose di quelle fisiche? A volte i farmaci che dovrebbero aiutare a combattere l’angoscia del malato falliscono; il malato si accorge gradualmente della scomparsa della propria memoria, dell’incapacità di riconoscere persone care, del disorientamento e della confusione che permea il suo cervello, dell’impossibilità di esprimersi in modo comprensibile, della ricerca affannosa della parola giusta, dell’incapacità di seguire discorsi logici, del disagio che prova nei rapporti sociali e dell’inevitabile isolamento che ne è la conseguenza. Che dire degli sforzi che, nella prima fase, fa il malato per mantenersi nella corrente della vita normale, per continuare a prendere le decisioni ed assumere le responsabilità che un tempo erano sue incombenze, per accettare senza ribellarsi l’interdizione di guidare la macchina di cui un tempo era il padrone, o semplicemente per opporsi con fermezza al divieto di uscire di casa?
Sono queste e tante altre le privazioni ed i disagi che il malato è costretto ad accettare. Di fronte agli ostacoli innalzati ed applicati dai suoi familiari, valgono poco gli sforzi che compie per recuperare la propria autonomia. Si trova di fatto intrappolato e non gli rimane che la resistenza e la ribellione, che spesso si trasformano in aggressività.
Ma può il caregiver destreggiarsi di fronte a tanti problemi imprevisti ed imprevedibili per i quali non è sempre stato preparato?
Il suo compito, tenendo conto di tali complesse problematiche, sarà di organizzare e mettere in atto una vita armoniosa e gratificante che dia al malato la sensazione di aver conservato il suo posto nella famiglia e di svolgere ancora un ruolo importante ed utile nella società. Una sfida non facile.

Federica Caracciolo