Perché questi sensi di colpa?

I periodi di sollievo, l’abbiamo più volte ripetuto in questo giornale, sono essenziali non solo per conservare la propria salute fisica e mentale, ma anche per essere meglio in grado di dare al familiare malato tutta l’assistenza di cui ha bisogno. E’ per questo ce sono state create strutture in cui il paziente affetto da Alzheimer può essere ricoverato, per un periodo relativamente breve. Tuttavia, il sollievo che dovrebbe determinare nel caregiver l’allontanamento temporaneo del familiare malato non è totale e in molti casi si accompagna con un senso di profonda colpa.

Ho sentito più persone esprimere questo sentimento:
“Ho ricoverato mio marito in una struttura di sollievo, perché ero esausta dalle cure continue e dal suo rifiuto ostinato di collaborare. Ed adesso invece di provare sollievo provo un acuto senso di colpevolezza. Ma allo stesso tempo ho bisogno di allontanarmi per un po’ dai problemi che erodono la mia serenità. Non so più come comportarmi.”
Oppure: “Ho messo mia madre in una struttura di sollievo dove si trova molto bene. Però ora non so che fare di tutto il tempo libero che mi ritrovo: non so come organizzarlo. Le giornate mi sembrano interminabili e, benché la vedo soddisfatta dalle cure dell’istituto nel quale à ricoverata, io mi sento terribilmente colpevole per averla allontanata dalla sua casa”.
Ancora: “Mia moglie è da qualche settimana in una casa di riposo lontana dalla città in cui vivo. Mi sento così triste e colpevole di averla ricoverata lì, che vado ogni giorno a trovarla per farmi perdonare, percorrendo chilometri in autobus o in treno. Sono esausto. Non godo di nessun senso di sollievo. E quando torno a casa, la solitudine mi è insopportabile”.

Il ricovero viene vissuto come un tradimento ed il senso di colpa è talvolta così forte da compromettere i vantaggi del periodo di sollievo. Il familiare ha la sensazione di aver strappato il congiunto, la madre o il padre dalla propria casa, dagli ambienti a lui familiari, dalle piccole routine che avevano tessuto la rete di sicurezza nella quale trovava i suoi punti di riferimento. Egli finisce per assumere la piena responsabilità di questo strappo e ne soffre come se avesse tradito la fiducia della persona amata. E’ importante combattere queste reazioni negative, cercare di sfruttare appieno il periodo di pace e di libertà e approfittarne per ricaricarsi. Infatti, il caregiver avrà bisogno di nuove forze per far fronte alle inevitabili difficoltà che sorgeranno al ritorno a casa del familiare. Inoltre questo momento di libertà non deve diventare un’angoscia che poi si riverserà sul malato, vanificando l’obiettivo stesso del ricovero, e cioè di dare sollievo non solo al caregiver ma anche al paziente. Occorre convincersi che il proprio familiare si trova bene, che è ben inserito nella routine della struttura di sollievo, e che magari ha potuto allacciare rapporti amichevoli con altri pazienti. In altre parole, il caregiver deve rendersi conto che la sua presenza permanente a fianco del familiare non è indispensabile. Questa presa di coscienza gli permetterà di ritrovare se stesso e sarà l’occasione di godere con cuore sereno gli svaghi che la malattia aveva interdetto, progressivamente sacrificati sull’altare di un accadimento totalizzante.

Federica Caracciolo