L’Alzheimer e la tecnologia

In un mondo tecnologico come il nostro è a volte difficile ricordare i tempi in cui non esisteva l’elettronica. La comunicazione usava allora altri strumenti: la posta, ad esempio, che ha dato origine a bellissime lettere, documenti preziosi spesso ancora archiviati nelle biblioteche istituzionali, o semplicemente nelle librerie delle nostre case. Veniva allora sfruttato il tempo intercorso tra una lettera e l’altra per pensare alla risposta adeguata o semplicemente per fare una riflessione su se stessi. Anche per il telefono bisognava passare attraverso un centralino, lento senza dubbio, ma che rendeva tanto più emozionante l’attesa e presente la voce dell’interlocutore, e rappresentava un momento magico di comunicazione.
Non vorrei certo criticare il ruolo insostituibile dei nuovi mezzi di comunicazione. Tuttavia bisogna riconoscere che, anche per chi non ha alcun disturbo cognitivo, sono spesso fonte di profonde frustrazioni. Basta ricordare gli annunci emessi da sistemi ormai universali con voci metalliche ed asettiche: “tutti gli operatori sono occupati”, “attendere un linea per non perdere la priorità acquisita”, priorità che raramente si materializza nella voce accogliente di un operatore.

Ma per tornare al tema delle innovazioni tecnologiche, parliamo anche del loro effetto sui nostri malati. Per loro sono veri e propri ostacoli, a volte insuperabili. Ricordo ancora quando ho regalato a mio marito malato un orologio digitale. Da quel giorno non è più stato in grado di leggere l’ora, le cifre che apparivano sul piccolo schermo non avevano per lui nulla a che vedere con le sfere dell’orologio tradizionale.
Lo stesso ci è capitato con il telefono a tastiera. Francesco sapeva ancora chiamarmi con il vecchio telefono a disco, ma non è stato capace di trasferire sul nuovo i numeri che conosceva ancora a memoria.

Altro particolare, prima della malattia, mio marito si divertiva molto a creare sul computer i disegni e gli ambienti delle case che doveva rinnovare, essendo un architetto d’interni, ma poco dopo che l’Alzheimer l’ha colpito, il computer, il suo sostegno tecnico, è diventato improvvisamente un oggetto estraneo e misterioso che esitava ad accendere.
All’inizio della malattia lo avevo munito di un cellulare, temendo che non sapesse ritrovare la strada di casa al ritorno dalle lunghe passeggiate che amava fare. Non ha mai imparato a rispondere al tema di una sinfonia di Mozart molto amata che avevo impostato come suoneria sul telefonino per destare la sua attenzione, né ha mai usato quel mezzo per comunicare con me.
Anche dal punto di vista del caregiver si sono acuite le difficoltà, ad iniziare dal passaggio dalla la lira all’euro. Lo scompiglio del cambiamento ha impedito a mio marito di fare i pochi acquisti quotidiani ai quali era abituato e che lo aiutavano a strutturare la sua giornata. In questa piccola rivoluzione, molti sono stati i caregivers che hanno dovuto inventare nuove strategie per aiutare il loro paziente a superare quel momento.

La malattia di Alzheimer, come ben sappiamo, colpisce soprattutto le persone anziani ed i loro caregivers sono spesso mogli o mariti. L’avvento di Internet ha creato disagio a non poche famiglie che si sono trovate impreparate di fronte alla nuova tecnologia e alla necessità di imparare ad usare il computer. Poco tempo è stato dato a queste persone per capire il significato dei simboli trasmessi per accedere alle informazioni. “Cosa vuol dire vuvuvu?” mi chiedeva perplesso Francesco quando ascoltavo la radio o la televisione. Come potevo spiegarglielo…
Coloro che gestiscono i mezzi di comunicazione di massa dovrebbero tenere conto delle difficoltà che provano gli ascoltatori, spesso anziani e a volte con disturbi cognitivi, e cercare, nella misura del possibile, di mandare in onda messaggi semplici, illustrativi ed informativi, atti ad aiutare le famiglie, che non hanno o non sanno usare il computer, a tenersi al corrente di eventuali nuove terapie o scoperte in campo medico od altro, prima di lanciare il “vuvuvu”.

Federica Caracciolo